
Dazi USA sulle esportazioni dall’Italia: situazione attuale per settori chiave…
Settore Agroalimentare (Food & Beverage)
Negli Stati Uniti i prodotti agroalimentari italiani erano tradizionalmente soggetti a dazi MFN (Nazione più favorita) relativamente bassi, con eccezioni su alcuni prodotti. Ad esempio, il vino italiano paga un dazio base molto contenuto (circa 1-2% del valore, in forma di pochi centesimi al litro), mentre i formaggi sono gravati da dazi più elevati e contingenti tariffari (quote) – il che può tradursi in tariffe effettive anche attorno al 20-40% fuori quota.L’olio d’oliva italiano entrava finora esente da dazi (0%). Dal aprile 2025, però, gli USA hanno introdotto un dazio addizionale generale del +10% su (quasi) tutte le importazioni, inclusi i prodotti alimentari. Ciò significa che attualmente vino, pasta, olio, etc. scontano un +10% oltre ai dazi base. Per i formaggi, già tassati pesantemente, l’aliquota complessiva può arrivare “fino al 40%”Questa misura rientra nei “dazi reciproci” voluti dall’amministrazione USA e potrebbe aumentare al 20% per l’UE dopo luglio 2025, se non si raggiungerà un accordo. In passato, alcuni prodotti italiani erano stati colpiti da dazi aggiuntivi del 25% (ad esempio Parmigiano Reggiano, pecorino, liquori, salumi) dal 18 ottobre 2019 nell’ambito della disputa Airbus/Boeing; tali tariffe sono state sospese a giugno 2021 grazie a una tregua quinquennale USA-UE. Attualmente, quindi, l’unico dazio extra in vigore sui prodotti agroalimentari UE è il +10% generale citato sopra (in assenza, per ora, del +20% minacciato).
Impatto: Gli esportatori italiani del comparto agroalimentare sono tra i più esposti. Coldiretti e altri enti stimano che un dazio del 20-25% sui cibi e vini italiani potrebbe ridurre pesantemente la competitività. Secondo Unimpresa, un dazio del 25% metterebbe a rischio circa 1,8-2 miliardi di euro l’anno di export agroalimentare italiano (su ~7,8 mld € di export annuo verso gli USA). Prodotti simbolo come il vino (1,7 mld € l’anno di export verso USA) rischiano un forte calo di vendite – si parla di un “possibile crollo dell’export vinicolo (2 miliardi di euro solo verso gli USA)” in caso di piena applicazione delle nuove tariffe. Anche i formaggi Dop (es. Parmigiano, Grana Padano, ~340-500 mln € annui) soffrirebbero: negli anni scorsi l’imposizione del +25% aveva già eroso i margini e alzato i prezzi per i consumatori americani (fino a +1,6 miliardi € di rincari complessivi secondo Coldiretti). In generale, l’intero settore agroalimentare (food & beverage) italiano vede circa 8 miliardi di export annuo in giocoNel breve termine alcune aziende hanno anticipato le spedizioni (stock) prima dell’entrata in vigore dei dazi, attenuando l’impatto immediato. Tuttavia, nel medio-lungo termine l’aumento dei prezzi di circa +10-20% potrebbe spostare parte della domanda USA verso prodotti concorrenti di altri Paesi o domestici. L’effetto finale stimato è una riduzione dell’export agroalimentare italiano negli USA di circa -6,5% con dazio +10% e fino a -10% con dazio al 20%, salvo accordi che scongiurino questi balzelli.
Settore Moda e Lusso (Abbigliamento, Calzature, Pelletteria)
I prodotti del sistema moda Made in Italy – abbigliamento, calzature, pelletteria – attualmente scontano negli USA dazi MFN non trascurabili, generalmente dal ~5% fino a 12% (a seconda dei materiali e capi). Ad esempio, gli abiti in tessuto, la maglieria e molti articoli di abbigliamento pagano dazi US intorno al 10-12%, mentre per calzature in pelle e accessori in cuoio le tariffe sono spesso nell’ordine dell’8-10%. Queste aliquote base erano stabili da anni; anzi, gli Stati Uniti applicano tradizionalmente tariffe anche più alte dell’Unione Europea su molti articoli moda (nel 61% delle categorie calzature e 54% dell’abbigliamento, i dazi USA superano quelli UE). Nessun aumento settoriale specifico è avvenuto di recente per il fashion – il settore non era coinvolto nei dazi punitivi Airbus né in dispute analoghe. Tuttavia, dal 5 aprile 2025 anche la moda italiana rientra nel dazio addizionale generale +10% imposto dagli USA. Ciò significa che, ad esempio, un capo d’abbigliamento Made in Italy precedentemente soggetto a 12% ora viene tassato ~22%; una borsa in pelle dal 8% passa ~18%, ecc. A fine maggio 2025 questi dazi aggiuntivi erano temporaneamente annullati da una sentenza della Corte del Commercio Internazionale USA, ma la decisione è stata subito sospesa in appello e le tariffe restano in vigore. L’aliquota extra per l’UE potrebbe salire al 20% dopo luglio, portando ad esempio i dazi sui vestiti attorno al 30% totale. Va notato che i settori lusso e alta moda spesso hanno margini più alti e una clientela disposta a pagare, quindi potrebbero assorbire parte dei costi senza trasferirli interamente sui prezzi finali.
Impatto: Gli Stati Uniti sono un mercato fondamentale per la moda italiana (abbigliamento e accessori “alto di gamma” in particolare). Un rincaro tariffario rischia di frenare la crescita in questo comparto: i prodotti di fascia medio-alta vedrebbero i prezzi al dettaglio salire sensibilmente, potenzialmente riducendo i volumi. Le stime del governo indicano un possibile calo dell’export complessivo (tutti i settori) di ~-6,5% con dazi al 10%. Per la moda il contraccolpo potrebbe essere leggermente attenuato dalla forza dei brand e dall’elasticità relativamente bassa per i beni di lusso, ma comunque significativo. Le aziende più piccole, meno note, potrebbero soffrire di più la perdita di competitività prezzo. In sintesi, i dazi aggiuntivi rischiano di erodere la quota di mercato dei prodotti italiani a vantaggio sia dei concorrenti locali statunitensi sia di fornitori di Paesi non colpiti (es. partner commerciali con accordi di libero scambio con gli USA). Se invece le tariffe venissero rimosse tramite accordo, si eviterebbe questo impatto negativo e le imprese italiane continuerebbero a beneficiare della domanda americana in forte crescita (nel 2024 l’export italiano di moda negli USA era in aumento a doppia cifra percentuale).
Settore Tecnologia e Macchinari Elettronici
In ambito tecnologico e dei macchinari ad alto contenuto tecnologico (macchine elettriche, apparecchiature elettroniche, elettrodomestici, strumenti di precisione, ecc.), gli Stati Uniti storicamente applicano dazi MFN molto bassi. Molti prodotti high-tech rientrano in accordi internazionali come l’ITA (Information Technology Agreement) e sono esenti da dazi: ad esempio componenti elettronici, computer, semiconduttori, apparecchi medicali pagano spesso 0% di tariffa all’import negli USA. In media, il livello tariffario americano sui beni industriali non agricoli era solo ~2%. Anche per i macchinari elettrici e strumentazioni italiane, quindi, il dazio base è tipicamente tra 0 e 5%. Fino al 2024 non vi sono stati cambiamenti tariffari rilevanti per questo settore: né i dazi anti-Cina (Section 301) né le dispute commerciali recenti riguardavano il Made in Italy tecnologico. Tuttavia, come tutti i settori, anche quello tech è ora colpito dal dazio generale USA introdotto nel 2025: attualmente si applica un +10% aggiuntivo sulle importazioni dall’Italia. Ad esempio, un apparecchio domestico o un macchinario industriale che prima entrava a dazio zero ora sconta un 10%. Per alcuni Paesi alleati con surplus minore (es. Regno Unito, Brasile) gli USA hanno mantenuto solo il +10%, mentre per l’Unione Europea è in teoria previsto un +20% (attualmente sospeso fino a fine luglio in attesa di negoziati). Se tale aliquota maggiorata entrasse in vigore, i prodotti tecnologici italiani finora duty-free sarebbero soggetti a 20% di dazio. Da segnalare che rimangono esenti da qualunque tariffa alcune categorie strategiche (menzionate nell’Executive Order americano) come i semiconduttori e i prodotti farmaceutici – ciò favorisce Paesi con forte export farmaceutico come l’Irlanda, ma interessa in parte anche l’Italia (per i macchinari medicali e la farmaceutica, già a dazio zero).
Impatto: Nel breve periodo l’effetto sui macchinari tecnologici italiani è stato limitato: molti importatori americani hanno accelerato gli acquisti nel primo trimestre 2025 (+11,8% di export italiano verso USA nei primi 3 mesi) in previsione dei dazi, facendo scorta. Questo ha temporaneamente sostenuto i volumi. Sul medio termine, però, un dazio permanente del 10-20% potrebbe rendere meno convenienti le macchine e apparecchiature italiane. La domanda americana potrebbe spostarsi verso fornitori alternativi: ad esempio produttori statunitensi (se esistenti per quello specifico bene) oppure forniture da Paesi con accordi di libero scambio che li esentano dai dazi (come Canada, Messico, Corea, ecc.). Va detto che il campo dei macchinari high-tech spesso vede l’Italia eccellere in nicchie altamente specializzate (automazione, packaging, ecc.) dove la sostituzione non è immediata. Pertanto l’impatto stimato è moderato ma non nullo: un’analisi economica prevede che un dazio del 20% trasferito parzialmente sui prezzi finali (+15% effettivo) potrebbe, in settori con alta elasticità, ridurre le esportazioni di diversi punti percentuali nel lungo periodo. In definitiva, le aziende italiane del comparto tecnologico potrebbero vedere una crescita più lenta negli USA e una pressione a spostare parte delle vendite verso mercati alternativi, qualora i dazi USA rimanessero in vigore a lungo. Viceversa, un’eventuale rimozione dei sovra-dazi riporterebbe immediatamente questo settore a dazi zero, ripristinando le condizioni di libera concorrenza pre-2025.
Settore Macchinari (Industriali e Agricoli)
I macchinari “non elettrici” – ad esempio macchine utensili, impianti industriali, pompe, valvole, macchine per imballaggio – costituiscono una voce fondamentale dell’export italiano. Gli Stati Uniti applicano dazi MFN molto contenuti su queste apparecchiature: spesso 0% (molte macchine industriali entrano senza dazio) oppure aliquote ridotte (2-5%). Anche i macchinari agricoli (trattori, mietitrebbie, ecc.) godevano tradizionalmente di dazio zero negli USA. Dal 2018 era in vigore un dazio del 25% su alcuni prodotti in acciaio e alluminio (Section 232) che colpiva indirettamente anche i macchinari contenenti tali metalli, ma l’UE aveva ottenuto una quota esente dal 2021. Nel febbraio 2025 gli Stati Uniti hanno però ripristinato integralmente i dazi 232: acciaio e alluminio europei ora pagano di nuovo il 25% senza esenzioni. Ciò ha aumentato i costi dei semilavorati metallici. Inoltre, da aprile 2025 tutti i macchinari dall’Italia scontano il dazio addizionale 10% già citato. I macchinari industriali, essendo beni “non di consumo”, non erano mai stati oggetto di tariffe punitive mirate sotto Trump 1 (eccetto il caso dei macchinari per l’industria aeronautica coinvolti indirettamente nel contenzioso Airbus). Dunque le principali modifiche recenti per questo settore sono: (1) il +10% generale in vigore da aprile 2025 (potenzialmente +20% dopo luglio per l’UE), e (2) il ripristino dei dazi 25% su acciaio/alluminio (marzo 2025), che incide soprattutto sulle forniture di materie prime e componenti metalliche. Nota: Separatamente, gli Stati Uniti hanno introdotto dal 3 aprile 2025 un dazio del 25% sulle automobili e componenti auto importate. Ciò riguarda l’industria automotive europea (ad es. penalizzando anche esportazioni di auto di lusso prodotte in Italia e i fornitori italiani di parti per autovetture) ma, strettamente parlando, rientra nei mezzi di trasporto più che nei macchinari generici.
Impatto: I macchinari industriali rappresentano circa il 20% dell’export italiano negli USA e hanno trainato la crescita negli ultimi anni. Un dazio aggiuntivo del 10-20% rischia di ridurre la competitività di queste apparecchiature, in particolare nei settori dove esistono competitor americani. Ad esempio, per i macchinari agricoli, produttori locali come John Deere o Caterpillar potrebbero beneficiare di un vantaggio di prezzo sul mercato domestico rispetto ai costruttori italiani. I player italiani (trattori di nicchia, attrezzature per vigneti, macchine alimentari, ecc.) potrebbero perdere ordini o vedere compressi i margini se decidono di assorbire parte del dazio per mantenere i prezzi. Il Ministro delle Imprese Adolfo Urso ha avvertito che i nuovi dazi USA avranno un impatto significativo su filiere in crisi come l’automotive e relativa componentistica, che in Italia fornisce molte case europee e ora vede minacciata la domanda estera. Per gli altri comparti meccanici, al momento non si registrano cali drastici: anzi, i primi mesi del 2025 hanno visto un aumento delle consegne, segno di acquisti anticipati. Nel lungo periodo, però, gli analisti prevedono effetti negativi: le imprese europee potrebbero dover riposizionare parte delle vendite verso altri mercati e perdere quote negli USA a favore di produttori nordamericani o di Paesi esentati. Una stima del Centro Studi Confindustria indica che, considerando l’insieme dei beni meccanici ed elettronici, ben 59% dei prodotti italiani scambiati con gli USA godevano finora di un vantaggio tariffario (dazi USA più bassi di quelli UE). Questo vantaggio competitivo viene annullato dai dazi reciproci: se le tariffe rimanessero alte, circa 32 miliardi di dollari di export italianoin settori come meccanica, automotive e agroalimentare potrebbero subire contrazioni. In conclusione, l’impatto per i macchinari potrebbe manifestarsi in un rallentamento dell’export italiano verso gli USA e in investimenti di delocalizzazione (per eludere i dazi producendo in loco) qualora la barriera tariffaria persistesse a lungo. La portata effettiva dipenderà dalla durata dei dazi: uno scenario di accordo e ritiro dei dazi entro pochi mesi limiterebbe i danni, mentre un protrarsi delle tariffe potrebbe costare al settore macchinari italiano diverse centinaia di milioni di euro l’anno in mancato export.